Con Slow Fiber gli abiti rispettano l’ambiente e i lavoratori

In un’epoca in cui l’industria della moda è tra le più inquinanti e sfruttatrici al mondo, un’iniziativa tutta italiana accende una luce di speranza. Si chiama Slow Fiber ed è la rete che unisce trenta aziende del tessile, decise a dimostrare che è possibile produrre abbigliamento su scala industriale in modo sostenibile, etico e completamente trasparente. Una vera e propria rivoluzione gentile, che parte da una profonda convinzione: se non possiamo fermare il consumismo, possiamo però cambiarne la direzione. A guidare questo cambiamento è Dario Casalini, imprenditore torinese che si ispira ai principi di Slow Food. Per lui, un capo d’abbigliamento non è “bello” se non è anche sano per chi lo indossa, giusto per chi lo produce e pulito per il pianeta. Una visione semplice quanto rivoluzionaria, che trova oggi applicazione concreta nelle aziende aderenti a Slow Fiber. Tutte italiane, con almeno il 70% della filiera a chilometro zero e nessuna delocalizzazione oltre il 30% della produzione negli ultimi tre anni, queste imprese investono l’1% del loro fatturato in sostenibilità, utilizzano energia da fonti rinnovabili, depurano le acque reflue e riciclano integralmente gli scarti di produzione. Progettano capi pensati per durare, essere riparati e riutilizzati. Ma soprattutto garantiscono condizioni di lavoro dignitose, contratti regolari, parità di genere e rispetto delle normative europee sulla sicurezza chimica. In un mercato dominato da fast fashion e prodotti usa-e-getta, Slow Fiber è una sfida culturale e industriale che rilancia il valore del Made in Italy, nel rispetto dell’ambiente e dei diritti delle persone. Un modello che non solo funziona, ma che offre una via concreta verso una moda più bella nel senso più autentico del termine: buona, pulita e giusta.

Fonte: avvenire.it